Isola di Pianosa. 10,3 Kmq di territorio lambito da uno dei mari più belli dell’Arcipelago Toscano. Il luogo reale dove il Paradiso e l’Inferno confondono i propri limiti, dove la bellezza incontaminata della sua natura mette a nudo l’incapacità dell’uomo di comprendere sé stesso e gli altri.
“Quest’isola contrariamente alla sua conformazione geografica – afferma Anna Maria Funghi, Cooperative sociale Arnèra – non è piatta. Non appena si sbarca si incontra una salita. La metafora perfetta per spiegare quanto le apparenze qui, più che altrove, spesso ingannano. Pianosa deve alla sua natura incontaminata il suo successo, ma dietro al caos con cui la natura si riappropria dei suoi spazi, emerge la fragilità umana di saper superare i limiti e gli schemi rigorosi che essa stessa si impone per difendersi dalla paura”.
Le due cooperative sociali Arnèra e Don Bosco, due anni fa, hanno vinto l’appalto per la gestione degli spazi adibiti all’accoglienza e alla ristorazione dell’Isola. L’albergo Milena (ex casa del Direttore), l’unico bar-ristorante presente sull’isola e la pulizia degli immobili destinati alle forze dell’ordine (Guardia Costiera, Polizia Penitenziaria e Carabinieri Nucleo Forestale) e gli 8 appartamenti ad uso foresteria di proprietà del Ministero di Grazie e Giustizia, sono alla base del lavoro stagionale che vede i detenuti collaborare con il personale civile durante il periodo estivo. Da aprile a fine ottobre, sotto un regolare contratto ci si mette alla prova, non solo perché il mondo irrompe nel limite fisico dell’isola, ma perché le etichette sociali non sono così rigide.
“Sono dentro – rivela V. – per una rapina andata male che, purtroppo, ha comportato la morte di alcune persone. Ho scontato 12 anni nelle carceri di Poggio Reale, Armeno Irpino e Porto Azzurro. Sono arrivato a Pianosa con una maturità diversa. Sono consapevole di ciò che ho fatto, per questo oggi non mi concedo nessun tipo di errore. Perché è facile sbagliare, quando si perde la concentrazione su sé stessi, sui dettagli, su le azioni che ci mettono in relazione con gli altri. In ogni carcere ho studiato. Dalla licenza elementare fino al diploma di lingue. L’odore e il grigiore delle carceri sono disumani. Quando sono uscito ho dovuto re imparare a camminare. Negli anni si perdono le buone maniere, la percezione delle cose e delle sensazioni che queste ci danno. È stato emozionante sentire la consistenza della ceramica di un piatto, trovandomi ridicolo mentre sollevavo un bicchiere di vetro ritenendolo pieno a confronto dell’inconsistenza di anni di plastica. Questo progetto mi ha offerto la possibilità di capire che sono capace, che posso fare cose che prima ignoravo, come fare il cameriere. Il limite sta nel pregiudizio. Molti ridono con me, ma cambiano espressione e atteggiamento quando sanno chi sono. Si ricade nell’errore perché la società non accetta che esista una redenzione. Una volta scontata la pena, troviamo lavoro presso ex carcerati o i familiari di carcerati, ma difficilmente tra i datori di lavoro “civili”. Il lavoro nobilita l’uomo, l’umiliazione, la fame, la miseria lo rendono reo”.
La storia di Pianosa sta inesorabilmente cadendo a pezzi. Il salmastro scava e sbriciola l’anima del cemento armato, portandosi via le tracce di una storia fatta di uomini e di scelte.
“Qui gli equilibri sono fragilissimi – svela Anna Maria Funghi – da una parte si vuole tutelare Pianosa da qualsiasi cambiamento, dall’altra c’è la volontà di lasciarsi alle spalle un passato non certo glorioso. È un bene che il muro grigio che costeggia la linea di costa crolli, portandosi con sé l’orrore del momento storico che lo ha generato, ma l’architettura ottocentesca, i muri a sacco e a secco che sono all’interno dell’aria penitenziale o il porticciolo, sono un patrimonio inestimabile. Bisogna superare il limite economico, investendo su quello affettivo, lo dimostra il trattore che è conservato nella corte interna del ristorante. Una volta pulita l’area dalla vegetazione, i carcerati hanno espresso il bisogno di collocare qui il vecchio trattore abbandonato all’interno dell’area penitenziaria. Nonostante abbia negato loro di farlo, insieme alle guardie penitenziari sono riusciti a trascinarlo fino qui, spostandolo a braccia per collocarlo dove attualmente risiede. Da ferro vecchio è diventato il soggetto, il simbolo, la consapevolezza che tutto cambia se cambiamo il nostro punto di vista. Altra fragilità è la presa di coscienza dei propri limiti da parte di chi sceglie di venire a lavorare sull’isola”
“Domani torno a casa con una testa diversa – dichiara Caterina – con un bagaglio molto più ricco di quando sono partita. Sono molto stanca o forse molto triste per ciò che lascio. Qui non abbiamo spazi privati, dormiamo in due grandi stanze insieme ad altri stagionali. Gli orari sono gli stessi che vivono tutti coloro che affidano all’estate il proprio conto in banca, ma qui le relazioni umane sono diverse. Ho lavorato in un grande supermercato, l’apparenza con cui dovevamo essere gentili verso i clienti non rispecchiava il reale disagio che vivevamo a contatto tra noi colleghi. Io da domani torno a progettare la mia vita, azione che dopo questa esperienza assume una responsabilità maggiore”.
Pianosa sta diventando meta turistica, perdendo il suo ruolo di porto di attracco per viaggiatori responsabili. Ma si può invertire la rotta?
Attraverso un progetto interregionale, stiamo includendo Pianosa in un respiro più grande che le possa permettere di riappropriarsi del suo patrimonio terriero, producendo, nel pieno rispetto dell’oasi naturalistica in cui è immersa e tutelata, prodotti che possono essere spesi sul mercato. Offrendo un futuro sia a chi vi risiede, sia alle nuove generazioni che dovranno proseguire il racconto della sua storia. Per quanto mi riguarda – conclude Anna Maria Funghi – spero di consegnare la mia professionalità ad una persona che possa proseguire e incrementare gli obiettivi di questo incredibile progetto.