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L’Archeologia Sonora Sperimentale di Francesco Landucci

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Archeologia Sonora Sperimentale

Il mistero è il filo di ragnatela che unisce i due antipodi della storia: il mondo antico e il mondo contemporaneo. Mentre il mondo l’antico, infatti, resta profondamente immerso nel fascino di essere terra di conquista e di scoperta, il mondo contemporaneo, per la sua ricerca sperimentale e la sua arte performativa, misteriosamente attende il verdetto con cui i posteri lo consacreranno o escluderanno dalle glorie della storia. Sul filo di Aracne, sulla dimensione critica con cui il presente diventa terra di mezzo, Francesco Landucci, con la sua  Archeologia Sonora Sperimentale, ne accorcia le distanze, offrendo attraverso la sua formazione di musicista, la possibilità di ricercare e riprodurre la sonorità della cultura antica, attraverso lo studio e la ricostruzione di tutti quegli strumenti che oggi, silenti, sono conservati nelle teche dei musei archeologici o nelle immagini ereditate dall’antichità classica.

Che cos’è l’Archeologia Sonora Sperimentale?

Francesco Landucci

Nella dimensione lessicale delle tre parole ho voluto concentrare il mio lavoro. Archeologia, perché gli strumenti appartengono al mondo antico e alla ricerca scientifica con cui questi sono ricollocati nella dimensione storica a cui appartengono, sonora, perché è il soggetto principale della mia ricerca, e sperimentale, perché quello che creo se pur partendo da un dato reale, resta definito nella sperimentazione di riprodurre suoni che oggi restano limitati all’interno di immagini.

Lo studio e realizzazione dei tuoi strumenti parte da uno studio molto approfondito dei reperti archeologici oggi conservati nei musei italiani. Puoi descriverci le tue creazioni?

Ultimamente ho realizzato un Sistro. Uno strumento di epoca romana, I-II secolo d.C., basandomi su un originale, oggi esposto al Museo archeologico di Firenze. Ho avuto la possibilità di misurarlo e riprodurlo utilizzando la tecnica della fusione a cera persa. È lo strumento caro a Iside.

siSistro collezione Strozzi, Museo archeologico di Firenze

Sistro, Collezione Strozzi, Museo archeologico di Firenze

Il suo ritrovamento in una tomba romana testimonia la fluidità con cui l’arte egiziana sia diventata un contributo di quella romana.  È un idiofono, sfrutta il movimento con cui le bacchette di bronzo oscillando battono sulla superficie esterna del supporto. Oggi possiamo ritrovarne una sua interpretazione in Etiopia, dove questo strumento, se pur rivisitato, è parte integrante, con le sue sonorità, del culto cristiano ortodosso.

Durante le tue ricerche hai trovato delle somiglianze o differenze tra la musica etrusca e quella romana?

Non possiamo sapere con certezza quale siano le differenze perché ad oggi non conosciamo nessuno spartito o documento che ne tramandi le loro caratteristiche. Siamo certi che i musicisti etruschi erano molto

apprezzati dai Romani, lo attesta la loro presenza  nelle feste e le cerimonie religiose romane. Alcuni strumenti, come gli Aulos, strumenti a fiato, sono parte integrante di molte civiltà antiche. È nelle differenze dei materiali con cui sono realizzati che si apprezza la ricercatezza del suono e il gusto armonico con cui ogni ambiente si differenzia da un altro.

Come si può raccontare la musicalità degli antichi al pubblico contemporaneo?

Aulos, Chianciano

È difficile. La musica degli antichi, all’orecchio dei contemporanei risulta a tratti non perfettamente intonata e dissonante. Oltre al tono e semitono vi è l’uso del quarto di tono, lo stesso che oggi ritroviamo nella musicalità araba e indiana, mentre la sua sonorità persiste ancora nelle tribù africane.

Dove sono concentrate le tue ricerche sonore, quali sono gli strumenti che restituirai alla storia?

Con Cinzia Murolo, archeologa e curatrice del Museo archeologico di Piombino, abbiamo ricostruito l’aulos di Chianciano, mentre adesso sto riproducendo il corno in bronzo ritrovato nella tomba dei Carri. Lo abbiamo misurato e, privilegio unico, ho avuto la possibilità di suonarlo a Firenze, al Museo archeologico dove oggi è possibile osservarlo. La possibilità di entrare in reazione diretta con gli originali mi permette di riprodurli analiticamente riducendo al minimo l’errore interpretativo. Ne ricostruisco le loro qualità naturali, là dove questo è possibile. Oggi, ad esempio, non è possibile usare i carapaci delle tartarughe perché sono specie protetta, ma non rinuncio all’uso delle budella e al pellame naturale per la ricostruzione delle lire etrusche.

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